Burning In The Skies - Isabella Ronconi - IV° Concorso Fantascienza LGBTQI - 5°Classificato

Burning In The Skies
Isabella Ronconi

Bene, eccoci qui.
Accidenti... Non mi sono resa ancora del tutto conto di quello che sto per fare. Non sono più tanto sicura di volerlo fare. Né sono sicura che voi vogliate ascoltarmi.
Però... Lo farò. Sento che è importante. Magari non per me e per la mia aspettativa di vita tremendamente bassa – e che sta continuando ad abbassarsi ad ogni sfarfallio dell'orologio olografico proiettato sulla parete di fronte a me. Le Forze della Galassia potrebbero aver già parcheggiato nel mio giardino. Ma sto tergiversando. Non sono capace di usare il Suo trascrittore mentale. Lei è terribilmente più brava di me in questo. La Sua mente non vacilla un attimo quando deve prendere una decisione, i Suoi pensieri non si inerpicano per tracciati tortuosi da cui poi è impossibile ritornare al punto di partenza – che la mia mente tende invece a prediligere. Non ho il tempo materiale di sedermi a rileggere tutto il mio elaborato una volta terminato – non so nemmeno se lo terminerò, veramente, in questo momento mi trovo sospesa in bilico su un fragilissimo filo – fragile quanto lo stelo dei fiori Ne'he, così longilineo e delicato...
Questa testimonianza potrà non essere importante per me, ma sono profondamente convinta che qualcuno, là fuori, nell'immensa, terrorizzante e incantevole galassia, qualcuno stia alzando gli occhi alla volta celeste e le stia chiedendo se c'è qualcuno come lui o lei, in questo piccolo universo, se la sua esistenza varrà o meno nella meravigliosa entropia che ci attornia. Se, piccola com'è, una cellula in un organismo compatto, precisissimo nella sua totale confusione, possa fare una differenza e cambiare, se non proprio tutto, almeno qualche piccolo particolare dell'enorme dipinto in cui quella persona è uno dei tanti dettagli.
E io le voglio dire: sì. Tutti gli incendi iniziano con una minuscola scintilla. Tutte le grandi rivoluzioni della storia iniziano con una mano tesa al cielo. Tutte le più innovative evoluzioni sono iniziate con un solo individuo che ha deciso di non essere come tutto il resto. E questo ha fatto la differenza. Questo individuo potrà non aver avuto vita facile, il rivoluzionario che ha osato ribellarsi sarà stato probabilmente giustiziato qualche secondo più tardi, la scintilla si sarà consumata prima si attecchire sul legname – ma tutti, tutti questi hanno fatto qualcosa. Hanno smosso la tranquillità che era accanto a loro. Lascia che ti dica, ragazzo o ragazza, chiunque tu sia, che “tranquillità” non è sempre sinonimo di “benessere”. La tranquillità, molte volte, è oppressione di molti e omertà di tutti. Non cercare la tranquillità che tutti ti indicano come ideale. Scegli la tua personalissima tranquillità, non importa quanto scompiglio porti nella vita degli altri. Anche se questa tua tranquillità ti costringe a vivere con i giorni contati aspettando che qualche Forza della Galassia ti prelevi di casa e ti sbatta in cella, o non la tiri tanto per le lunghe e ti giustizi con un colpo alla nuca nella tua stessa casa?
Questo me lo dirai tu alla fine del mio racconto.

Mi sono interrotta un attimo per andare a controllare alla finestra della cucina, mi era sembrato di sentire un rumore. Non è vero che non ho paura di morire – forse è questo che è trasparito dalle mie prime parole, ma devo mettere in chiaro che è esattamente l'opposto. Ho paura di non poter più fare colazione con frittelle di poochun e sentirne il gusto dolce sulla punta della lingua. Ho paura di– di non riuscire a vivere quel che mi rimane da vivere – ma lo devo fare, gliel'ho promesso prima che se ne andasse, gliel'ho promesso gliel'ho promesso gliel'ho promesso... – e incidermi i polsi con un coltello prima che chiunque riesca a prendermi e a portarmi via, viva. Ho paura di consumare quel che mi rimane da vivere in una celletta umidiccia, rimanere a rinsecchirmi e a morire di fame prima di ricevere una pallottola con su scritto il mio nome nel cranio. No, no, sicuramente non hanno una pallottola con il mio nome inciso sopra, né sprecheranno inutilmente celle per una banalissima ex-recluta che sarebbe dovuta morire già parecchio tempo prima. Il Governo è molto più efficiente di così. Per questo controllo ancora alla finestra. Se li vedessi, non so se riuscirei a continuare con il mio racconto. Non li lascerò semplicemente entrare nella mia proprietà mentre io me ne sto seduta qui a parlare con– con una diavoleria mezza scassata, non li lascerò prendere anche la mia vita, dopo tutto quello che mi hanno tirato via, dopo tutto– il mio distretto– Lei–
Ma Lei vuole che io salvi questa storia, la nostra storia. Lo sto facendo anche per lei, perché sono assolutamente certa che lei avrebbe fatto lo stesso al posto mio. Quando questa registrazione sarà terminata non sarà importante che io sia viva o morta. L'importante è che questo ricordo rimanga vivo.

Lei è ancora vivissima nella mia mente. Riesco a vederla ridere, a vedere le labbra sottili che prima si allungano sul viso e poi si schiudono, riesco ad immaginarmi mentre mi allungo per baciarle, riesco a sentire il battito del mio cuore quando lei, dopo un mio minimo ripensamento, si allunga e mi bacia per prima.
Il nostro primo bacio è andato così. C'era molta più confusione – siamo stipate in una navicella satura di profughi che il mio plotone ha appena portato in salvo, io sono completamente impolverata e lei ha il naso sanguinante e trema da morire, e io le assicuro le braccia attorno alla vita e lei mi osserva come se mi avesse notata solo in quel momento, e un entusiasmo nervoso la fa scoppiare in una risatina isterica, e mi sussurra: « Anche oggi quei coglioni non sono riusciti a centrarmi, hai visto? », e io le vorrei urlare di stare zitta e di abbracciarmi e basta perché sono talmente felice che lei sia ancora viva, la credevo sotto due metri di macerie e poi tutto si riduce ad un niente.
Perché ci stiamo baciando – e tutti sono troppo sconvolti per notare due donne che si aggrappano l'una all'altra come se ne andasse della loro stessa vita, e due donne che si baciano sono troppo estatiche per accorgersi di quelli che stanno loro attorno. Avevo trovato la mia tranquillità in un tremulo bacio che sapeva di sangue e di calcinacci.
Siamo scappate la sera stessa.
Non se ne poteva più di tutto quell'andirivieni. Io non ne potevo più. Lei sarebbe stata contenta di morire sbalzata in aria da una bomba sonica mentre cercava di tirare fuori dalle macerie un mutilato, ma io non l'avrei sopportato.
Mi aveva detto di conoscere un distretto poco frequentato, dove avremmo potuto ricominciare tutto da zero, creare una famiglia – e quando ho sentito quella parola per la prima volta credo di aver perso per un attimo la presa sul volante. Una famiglia. Da quanto non ne avevo una? Reclutata nelle Forze della Galassia quando avevo appena otto anni, cresciuta con l'idea che quella fosse l'unica famiglia che avrei mai potuto avere nella mia vita. E poi la famiglia ha cominciato a sganciare missili sui pianeti vicini e io ho compiuto quella che ancora oggi non so se sia la mia più grande vigliaccata o un atto di rivoluzione. Sono scappata.
E sono scappata anche quella volta, e scappo sempre, alla ricerca di qualche posto in cui non debba guardarmi le spalle, tenere un occhio aperto, essere terrorizzata di vivere come voglio davvero vivere.
Quella stessa sera abbiamo dormito nella navicella rubata, strette una contro l'altra, con entrambi gli occhi chiusi e le mani intrecciate, e la parola famiglia che fluttuava, pesante, nel silenzio attorno a noi.
Due anni. Due anni di tremenda felicità, così abbagliante che faccio ancora fatica a riportarla alla mente. Ci sentivamo libere, invincibili, noi stesse. Litigavamo di continuo ed era stupendo, perché la sera, nonostante tutti i crucci, dovevamo comunque stenderci vicinissime per conservare un po' di quel calore che ci serviva. La rimproveravo quando tornava a casa con dei semi di fiori invece che con il notiziario del giorno, ma poi andavo ad innaffiare ugualmente i germogli arancioni che seppelliva con commovente attenzione nella brulla terra di fronte casa. E chiamavo le incrostazioni del soffitto famiglia, e così pure gli insettucci argentati sotto i tappeti e i black-out improvvisi nel cuore della notte per colpa di un attacco aereo. Li chiamavo famiglia perché convivevo con loro, li odiavo ma poi imparavo a capirli, a conoscerli. E, davvero, non serviva nient'altro per rendermi felice. Una casa sgangherata e Lei. E magari, nei giorni migliori, la frittata di poochun.
F-A-M-I-G-L-I-A.

Ciò che questa stupenda parola implicava già dall'inizio, quando avevo cominciato ad usarla senza veramente pensarci troppo, è che la famiglia diventa parte di te. Quando perdi qualcosa, è come se perdessi una parte del tuo corpo.
Lei era la mia gamba. La mia mano. I miei occhi. Ho smesso di camminare, toccare, vedere, dopo che l'ultimo attacco aereo le è piombato dritto in testa. I coglioni sono riusciti a centrarla, alla fine. E non solo l'hanno centrata, ma stanno venendo a fare pulizia di tutto ciò che si trova nel raggio di qualche chilometro dall'ultimo bombardamento. Potrebbero buttare giù un missile e farmi esplodere prima che io me ne possa rendere conto. E con me, questo ricordo. Potrebbero, ma non glielo lascerò fare.
Non sono riuscita a dire tutto ciò che avevo programmato, ma non ce l'avrei fatta comunque. Come si riassume una vita in una manciata di minuti? E in fondo non è quella che veramente conta. Quel che conta è il mio atto di scappare. La scintilla. La mano alzata. L'individuo che non si adegua. Questo è quello per cui voglio venire ricordata. Siamo tutti meteore in un cielo di pianeti millenari – cerca solo di essere luminosa abbastanza nel corso della tua breve vita. Anche luminosa appena per illuminare la via di una sola persona. Trova la tua tranquillità, e vivila. Trova la tua famiglia.
Arrivederci, chiunque tu sia. Vedi di rendermi fiera di te.
Anno 2227, Pianeta A'asha, distretto XXXVI, Amara––


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