XX
Marco Taddia
Marco Taddia
Non ricordo di aver mai
avuto voglia di essere madre nella mia vita, sarà perché sono la
quarta di cinque sorelle, ma non ho mai sentito quel sentimento
materno di cui fin da piccola mi parlavano le mie mamme o le mie
nonne. Le mie sorelle crescendo alla fine hanno trovato la loro
compagna e sono tutte diventate madri a loro volta.
Eppure quindici mesi fa ho
preso una decisione che mi ha cambiato la vita in un modo che non
avrei mai immaginato potesse fare.
La mia compagna Rebecca è
una stilista di moda affermata e tutto il tempo libero che ha lo
dedica a noi due. Ci siamo conosciute ai tempi dell'università, lei
all'epoca studiava ancora giurisprudenza, come le sue mamme le
“consigliavano” di fare, ma si vedeva che non era quello che
voleva. Lei disegnava sempre e le piaceva la moda, così io una volta
le presi uno dei suoi bozzetti e grazie a mie conoscenze trasversali
relative al mio hobby dei GDR fantasy, riuscii a farlo arrivare ad
una mia cadetta di Sword Air Online che nella vita reale era una
manager della nota marca di moda panasolare Guffi.
Inutile dire che da lì le
si aprirono diverse opportunità. Inisialmente le offrirono di
pagarle corsi di studio, poi le fecero fare la tirocinante in diversi
atelier. Infine con suo grande impegno e determinazione è arrivata
ad essere una delle migliori stiliste nel nostro sistema solare.
Quell'impegno però le
costò tanto e anche se negli ultimi periodi non me ne parlava mai
apertamente io la vedevo sempre un filo triste, come se le mancasse
qualcosa. Lo sapevo che le mancava fare la madre, parlava di avere
una figlia da che ne ho memoria.
Mi sono sempre sentita
orgogliosa di lei, di essere sua moglie e di sostenerla in tutto,
senza mai però metter da parte la mia passione di programmatrice
informatica. Questo continuare a pensare alla tristezza di Rebecca,
ha creato in me una certa sensazione, come di stare togliendo
qualcosa alla mia anima gemella, una donna che amo ancora adesso come
fosse il primo giorno. Quei suoi occhi verdoni, con il suo viso
affilato ma non troppo, i capelli non troppo ricci e biondi. Se solo
chiudo gli occhi posso vederla ancora come in quel giorno in cui ci
siamo conosciuti, radiosa mentre entrava in biblioteca per studiare.
Nei giorni seguenti, dopo
aver preso la mia decisione, la invitai fuori a cena in uno di quei
ristoranti etnici che le piacciono tanto e alla fine le dissi:
“Rebecca, ho deciso di partorire nostra figlia.” Sono bastate
quelle parole per farla piangere a dirotto come non capitava da
quando le chiesi di sposarmi. Il suo abbraccio era così emozionato
in quel momento ce se ci penso mi assale un brivido.
In quegli istanti un
gigantesco peso si era tolto tra di noi. Poche settimane dopo eravamo
alla clinica della fertilità dove ci estrassero diversi ovuli a
testa e iniziarono a fare i loro test per le possibili miscelazioni
geniche tra i nostri genomi in modo da ottenere il risultato migliore
per la nostra bambina.
Per poter effettuare
l'impianto definitivo però dovevamo avventurarci in una serie di
passi burocratici che spesso ci tolsero il sonno. Il nulla osta di
concepimento, i permessi di maternità cittadini e dalla mia azienda,
la scelta dell'ostetrica e le domande alle varie scuole visto che le
liste d'attesa erano belle lunghe.
Appena mi inserirono
l'ovulo, qualche settimana dopo, dissi: “Già fatto?” e le varie
infermiere della clinica della fertilità si misero tutte a sorridere
mentre la dottoressa con faccia corrucciata disse: “Guarda che io
ho inserito uno o due grammi roba ma tra nove mesi ne dovrai far
uscire circa tre chili e mezzo.” Tutte scoppiammo subito a ridere
di gusto. Quella risata mi aiutò a buttare via le ansie burocratiche
che avevamo affrontato.
Dopo i primi giorni
dall'impianto mi sentivo bene, ma qualche settimana dopo, iniziai a
soffrire un po' di nausee mattutine. Sentir crescere quella bambina
dentro di me mi stava donando un calore che non mi ero mai
immaginata. Mi ritrovai spesso a pensare che alla fine forse avessero
ragione le mie mamme e le mie nonne. Rinunciare a questa esperienza è
qualcosa che nessuna donna dovrebbe fare. Anche il legame con Rebecca
era più forte, la sentivo più vicina a me e condividevamo ancora
più momenti intimi.
Verso il 4 mese di
gravidanza con Rebecca andammo a fare un'ecoscansione di routine come
altre già fatte in precedenza. Il protocollo medico per le nascite è
alquanto rigido e i controlli sono ben scadenzati e strutturati.
La visita è iniziata
normalmente con la nostra ostetrica che mi ha fatto sdraiare e poi
inizia a descriverci cosa stiamo vedendo nella proiezione olografica
davanti a noi.
Io e Rebecca ci tenevamo
la mano molto emozionate, poi ad un certo punto vedo l'ostetrica che
si alza in piedi, stacca la visualizzazione olografica e inizia a
controllare freneticamente una zona dal suo monitor, la mano di
Rebecca si stringe fortissimamente alla mia finché non riuscendo più
a trattenersi disse con tono angosciato: “C'è qualche problema?”
L'ostetrica si girò e disse: “Il feto è in ottime condizioni a
dire il vero, non c'è nulla fuori posto, ma...” A quel ma sentii
il mio cuore che si fermava per qualche lunghissimo istante. “la
vostra non è una bambina ma un bambino.” Il terrore ci avvolse in
pochissimi istanti. Un maschio! Quella era una cosa a cui nessuna
delle due aveva mai pensato. La legge di procreazione solare è molto
rigida e i maschi non esistevano da generazioni e nel caso un feto
fosse mutato in maschio questo sarebbe stato fatto abortire, anche
contro la volontà della partoriente, e successivamente tolto il
diritto di procreazione alla famiglia.
L'ostetrica, vedendoci
scosse e assalite dal panico disse: “Se volete un'opportunità di
tenervi... vostro figlio... potete scendere dalle scale qui a destra
e arrivare al parcheggio blu 25 dove ci sarà un furgone con la
scritta 'Idraulici Karman'. Bussate e dite abnegazione. Alla
sicurezza dirò che siete corse fuori dalla paura. Avete ancora
qualche minuto, non sprecatelo”.
Non so dire per quanto ci
guardammo dopo aver sentito quelle parole. Io continuavo a fissare
gli occhi di Rebecca e lei i miei in cerca di una risposta. Misi le
mie mani sul suo volto e pochi istanti dopo vidi le lacrime uscirle
dai bulbi oculari. Mi stringeva forte a lei. Le mie mani erano
bagnate dalle sue lacrime. In quell'istante penso di aver percepito i
suoi esatti pensieri, come se fossimo una persona sola.
La presi per mano e
scendemmo lungo le scale, sentivo che mi stringeva sempre più forte
la mano, potevo percepire il suo battito sempre più agitato, o forse
era il mio che mi martellava cercando di scacciare i pensieri e i
dubbi della mente.
Una volta trovato il
furgone bussammo alla porta posteriore e due donne e un uomo ci
aprirono.
Dire che rimanemmo
pietrificate a guardarlo era poco. I lineamenti e la corporatura
maschile era qualcosa che avevamo potuto vedere solo nelle
oloricostruzioni. Vederlo dal vivo, sentirlo e odorarlo, era qualcosa
di sconvolgente e che stranamente mi fece pensare a come sarebbe
potuto diventare il figlio che portavo dentro.
Fatte accomodare nel
furgone ci dissero che erano il gruppo degli Apollo. Ci informarono
che non sarebbe stata facile nessuna delle due strade che potevamo
percorrere. Intanto il furgone aveva iniziato a muoversi senza meta.
Pensavo volessero
convincerci a tenere il bambino e invece a loro importava solo farci
capire cosa comportava una scelta rispetto all'altra, cosa avremmo
perso o guadagnato in una rispetto all'altra.
La mano di Rebecca
continuava a stringermi forte mentre ascoltava molto attenta e
concentrata. Io ogni tanto mi perdevo nel guardarla, quasi perdevo il
discorso, bella come una stella in un limpido cielo notturno
invernale.
Ad un certo punto il
furgone si fermò e noi capimmo che era arrivato il tempo di
decidere. Ci dissero che scendendo potevamo andarcene a casa oppure
entrare nello spazioporto davanti a cui ci avevano lasciato e
prendere la prima ala trasporto per la Luna, c'erano già dei posti
per noi.
Scendemmo dal furgone e ci
incamminammo senza meta sempre tendoci per mano.
La prima opzione era restare, sapendo bene cosa ci sarebbe successo, le nostre vite sarebbero rimaste come le conoscevamo ma senza più la possibilità di avere figli.
La prima opzione era restare, sapendo bene cosa ci sarebbe successo, le nostre vite sarebbero rimaste come le conoscevamo ma senza più la possibilità di avere figli.
La seconda opzione era
partire e cambiare la nostra vita, andando incontro all'incognita di
essere aiutati in tutto e per tutto da questi Apollo per i primi
tempi, ma con un nostro figlio da poter crescere assieme.
Per un primo momento non
parlammo nemmeno, ci guardavamo ogni tanto e basta, poi iniziammo a
parlare. Parlavamo e camminavamo. Lo abbiamo fatto a lungo.
Non mi sono mai pentita
della nostra scelta, l'abbiamo presa assieme, con forza e coraggio,
come mai avevamo fatto prima nella nostra vita assieme. Da quel
giorno amo ancora di più Rebecca e lo ricordo sempre con tanto
affetto perché, affrontare quegli eventi ci ha unite come nulla
aveva mai fatto prima.
Abbiamo sofferto tanto,
abbiamo perso moltissimo, ma siamo ancora assieme qui, noi due, e non
vorrei stare con altra donna in tutto l'universo.
Lei è me e io sono lei.
Ti amo Rebecca.
Finché la morte non ci
separi.