Concorso "Dove nessuno è mai venuto prima": "Drone" di Giancarlo Calvaruso

Drone, di Giancarlo Calvaruso


Amor mio, che cosa ti hanno fatto?
Ricordo ancora quando ci incontrammo la prima volta, io giovane ingegnere pieno di sogni e ambizioni e tu, militare in carriera, accompagnavi il tuo superiore senza esitazione. Si, il tuo superiore, quel piccolo ometto brizzolato dal viso arcigno. Dovevo capire subito che di quell’uomo non ci si poteva fidare. Mi avevano chiamato per approfondire le mie ricerche sulla biomeccanica, sulle protesi artificiali per sostituire organi umani.“Ridarai il sorriso ai bambini colpiti dalla guerra” mi avevano detto. Maledetti bugiardi.
Ricordo che facemmo il giro del laboratorio, quel giorno: il piccolo uomo mi mostrava i luoghi e le persone che da lì in poi sarebbero stati la mia unica casa. Ma io, ogni tanto, volgevo lo sguardo verso te: eri alto, possente, serio. La tua espressione severa trasudava fascino e al contempo incantava. Tu non parlavi mai, ricordo, ma osservavi, con quei tuoi occhi, splendidi occhi con cui osservavi il vuoto, quasi come imprigionato dietro uno specchio da cui poter vedere tutto ma al tempo stesso rimanere nascosto. I tuoi occhi furono la prima cosa che notai di te. Dove sono adesso? Dov’è quel tuo sguardo che penetrava come una punta di diamante perfora la roccia? Adesso è spento, reciso; lo posso vedere da qua, mi stai cercando, lo so. Ma io rimango nell’ombra, nascosto come un fiore a cui è stato negato il beneficio del sole.
Ricordi i primi giorni? La timidezza nei miei occhi quando ti vedevo passare, l’entusiasmo, la gioia e il fremito che assalivano il mio corpo quando ti sentivo parlare, quando aprivi le tue splendide labbra ed emettevi il suono più bello della terra. Non parlavi molto, non sei mai stato un tipo loquace ma questo faceva parte del tuo mistero. Dov’è adesso quella bocca che mille volte mi riempì di solenni baci, dove sono quelle labbra sottili, ferme, immobili, perfette? Lo vedo da qui, il tuo viso è stato deturpato, la simmetria, l’eleganza della composizione che Dio ti aveva donato è stata stravolta e per questo mi sento responsabile.
Provo a muovermi, in silenzio, nell’ombra, devo riuscire a raggiungere quel generatore di corrente. Scivolo veloce sul pavimento, ma senza fare rumore. Mi avvicino alla parete, prendo il generatore ma un bullone si stacca e cade, il rumore riecheggia nei meandri di questo salone arrugginito. Mi hai sentito. Devo fare in fretta. Mi alzo di scatto, inarco le ginocchia e corro, corro come non ho mai fatto in vita mia. Sento degli spari, sono qui, sai dove sono, la salvezza è dietro quella porta. Corro.
Ricordi la prima volta che ci toccammo? Il silenzio, il profumo sintetico di bagnoschiuma, il vapore e l’acqua che scorreva; unici eterni testimoni del nostro incontro in quelle docce. Era tardi, avevo lavorato fino allo sfinimento quel giorno e non vedevo l’ora ti sradicare tutta la stanchezza e gettarmi nel sonno. Dapprima non mi accorsi neanche di non essere solo, la giornata mi aveva distrutto, la mia mente vagava in un meritato Eden di sciocchezze e nulla avrebbe potuto attirare la mia attenzione. Ma quando mi girai e ti vidi rimasi imbalsamato, mai avevo visto tanta bellezza, tanta perfezione. Il tuo corpo nudo si ergeva possente davanti a me; un dio greco, stanco dell’ozioso Olimpo, aveva deciso di scendere sulla terra e di mostrarsi. Tu eri immobile, dritto verso di me mentre l’acqua scivolava tra le tue forme statuarie e si riversava nel pavimento soddisfatta, estasiata. Avevi un’espressione diversa, il tuo viso severo si era trasformato e i tuoi lineamenti erano diventati dolci, gentili, le tue labbra accennavano un sorriso che mai ti avevo visto. Ogni linea del tuo corpo era perfetta, i muscoli tesi, le spalle possenti, i pettorali in fuori, gli addominali scolpiti, tutto di te sembrava disegnato dalla mano di un artista e avrei dato l’anima per solo sfiorare la tua pelle. Poi il mio sguardo si spostò verso il tuo membro, nell’enfasi del momento non l’avevo notato ma adesso che il mio cervello ricominciava a ossigenare i miei neuroni inebriati, solo adesso, avevo realizzato che il tuo membro, dritto, lucido e di una circonferenza perfetta era in erezione. Non pronunciammo una sola parola, non ne servivano: ci eravamo letti nel profondo dei nostri occhi. Fosti tu il primo ad avvicinarsi, lentamente ma con fare deciso ti ponesti d’innanzi a me, ancora troppo incredulo per riuscire a tendere un muscolo, troppo estasiato anche solo per sbattere una palpebra. Capii subito cosa dovevo fare, l’avevo sognato mille volte, era stato il pensiero di diecimila momenti di intimità, ma adesso era reale, il mio desiderio mi guidò ed io lo lasciai fare. Mi inginocchiai, presi tra le mani quell’imponente scettro e con delicatezza iniziare a sfiorare la mia lingua sulla tua pelle, le mie labbra sulla tua circonferenza, la mia bocca era tua e desiderava riceverti. Dapprima lentamente, poi sempre più veloce acquistai sicurezza, il mio entusiasmo ormai aveva lasciato spazio alla lussuria e il mio unico pensiero, adesso, era quello di farti godere. Mentre il tuo membro scivolava nella mia gola alzai lo sguardo, il tuo viso era inarcato, la tua espressione di gioia, eri stupendo, un quadro dipinto che nessuno aveva mai visto, ed io ne ero l’artefice. Quando raggiungesti l’apice della lussuria volli il tuo seme sul mio viso, era la mia ricompensa e il mio trofeo, lo sparsi con la punta del tuo sesso sul mio viso mentre ti guardavo soddisfatto. Si, eri il mio premio.
Salvezza. Ho raggiunto la porta e ho trovato la salvezza. Questa piccola bomba EMP adesso è pronta; non ti preoccupare amore, non ti farà del male, esplodendo emetterà un impulso elettromagnetico che metterà fuori uso i tuoi sensori, amor mio. Mi darà il tempo di organizzare la fuga, di riflettere, di ricordare.
Le notti insieme, ricordi le notti insieme, amor mio? Quando mi venivi a trovare nel mio cubicolo, a tarda ora, e nell’intimità della notte ci spogliavamo, io e te, tu ed io: non esisteva nient’altro in quelle notti. Ci baciavamo, nel silenzio, ci abbracciavamo e tutto il resto perdeva di significato. Ti ricordi la sensazione della tua mano sulla mia pelle, quando sfioravi il mio fianco nudo ed io un po’ per riflesso un po’ per timore ritiravo il mio corpo, mi raggomitolavo su di te come un riccio insospettito e tu allora sorridevi e mi abbracciavi più forte e mi baciavi. Non avevo nulla da temere con te, io ero tuo. Quelle notti… ricordi quelle notti in cui mi possedevi; scivolava il mio corpo sul tuo mentre piano piano ti sentivo dentro; eri gentile, come il tuo sguardo, ma deciso, come la possanza del tuo braccio. Poi mi giravi, dolcemente, ed io potevo vederti, il dio greco che profanava il mio altare, sempre più deciso, sempre più forte. I miei gemiti, li ricordi i miei gemiti? Io non li scorderò mai. E godevo ogni volta che ti sentivo esplodere dentro di me, non distoglievo mai lo sguardo da te e tu mi accarezzavi, dolcemente, e avvicinavi le tue labbra alle mie. Parlavamo, ma mai del nostro lavoro, nelle nostre notti eravamo solo noi, rinchiusi nel fragile cristallo dell’illusione di un amore eterno e con la paura che al minimo sfregio potesse andare tutto in frantumi. Ci spiavano, amor mio, lo sai che ci spiavano? Io lo sapevo ma non aveva importanza. Ci lasciavano in pace.
La bomba elettromagnetica è esplosa, i tuoi sensori saranno confusi per i prossimi dieci minuti. Ho il tempo di raggiungere quella scala, quella che porta all’esterno. Lì c’è una jeep che mi porterà in salvo, devo solo raggiungere quella scala. Corro amore mio, corro lontano da te, da quello che è rimasto di te.
Io non ti ho mai tradito, amor mio, non pensare il contrario. Io volevo proteggerti. Lo sai, amor mio, che ti avevano scelto? Lo scoprii un giorno per caso, guardando i file segreti, volevo sapere la verità. Quando mi imbattei nel progetto DRONE capii che era tutta una farsa. Le api operaie che svolgono compiti diversi non sanno cosa ha in mente la regina, ma io, quella sera, lo scoprii, e fui terrorizzato. Volevano creare l’arma finale: un essere mezzo umano e mezzo bionico, che sfruttasse le sinapsi cerebrali per le tattiche di guerra e le componenti artificiali come armamento. Scoprii anche che ti avevano selezionato, amor mio, tu sei sempre stato accondiscendente, diligente e disciplinato, non facevi mai domande; eseguivi gli ordini e basta: eri la cavia perfetta. Ma io non potevo permetterlo e quella sera, io, feci esplodere il laboratorio per scappare con i progetti.
Ti chiesi si venire con me ma la tua stupida ubbidienza al comando ti costrinse a restare e rimanesti intrappolato. Venni a sapere che riuscisti a stento a sopravvivere a quell’incendio, ma il tuo corpo, quel tempio di bellezza che avevo celebrato tante e tante volte, era stato compromesso, lacerato e ustionato dalle fiamme. Venni a sapere che il progetto non si era mai fermato e anzi, grazie a me, fu più semplice trasformarti nella loro arma finale.
Salto, da questa scala salto e la terra nuda attutisce la mia caduta. Mi alzo e vedo la jeep, la salvezza. D’improvviso un forte boato e un dolore acuto alla gamba, mi hai sparato, amor mio. La bomba non è stata sufficiente, tu sei forte, sei un’arma imbattibile ed io, ormai, sono spacciato.
Ti ergi di fronte a me, adesso, ma non c’è un accenno di sorriso, questa volta, né ardore sul tuo corpo. Come vorrei che tu ora ricordassi tutto, che non ti avessero manipolato la mente. Il tuo sguardo è spento, le tue labbra asciutte e serrate; uccidimi amor mio o se vuoi redimimi. Io non cancellerò mai il ricordo della nostra passione. La tua pistola adesso punta alla mia tempia, un rumore e il mio viso sbatte violento a terra. Un attimo, in quell’ultimo attimo vedo una goccia sul tuo viso e sorrido. E’ una lacrima quella? Una lacrima per me.


Punteggio complessivo: 37,5