Concorso "Dove nessuno è mai venuto prima": "Ancora per un po'" di Francesco Donini

Ancora per un po', di Francesco Donini


Gli stringeva la mano, mentre camminavano fianco a fianco. La sua mano. Un palmo, cinque dita, un dorso. E un corpo. Energia intrappolata nella materia. Pulsante nella materia. Un oceano travolgente di sensazioni, del tutto diverse da quelle che conosceva prima. Forti. Belle. Come la mano stretta alla sua. Le dita intrecciate. Gli occhi scuri di lui incontrarono i suoi, come ad un richiamo, e l’esplosione emozionale lo percorse. Quella di lui, la sua, o entrambe. Non importava. Erano intrecciate. Come le dita. L’emozione crebbe, tirò come una fune i loro volti l’uno verso l’altro, sovrastando ogni altro rumore, fino allo sfiorarsi delle labbra. Ogni cellula del corpo fu attraversata da vibrazioni dilaganti. Risalirono alle lingue, sferzandole nel toccarsi, e intrecciarsi anch’esse. E la cacofonia di sensazioni, che non gli dava tregua da quando era in questa forma, in questo mondo, si concentrò ancora una volta in un singolo, potente, inarrestabile flusso.
E capì che tutto, tutto, lì, era perfetto.

L’aveva sognato. Se si può parlare di sogno, nel luogo da cui proveniva. Luogo, o stato dell’esistenza. Era difficile esprimerlo con le parole, i concetti, i pensieri che ora possedeva. Così separati fra loro, dicotomici, rigidi, come i confini dei corpi e degli oggetti di questo mondo. Sapeva che era vicino. Abbastanza da sentire le vibrazioni sprigionate dalle emozioni che questi corpi emanavano. Sentirle, e abbeverarsene. Un concetto sperimentato prima ancora di conoscerne il nome, possederne la parola. Sete.
Da dove veniva tutto era flusso di emozione. Energia che scorre libera, e attraversa. Ti attraversa. E tu sei il flusso, e non lo sei. Tu, insieme agli altri. Li senti, comunichi, tramite energia emotiva ininterrotta. A tratti più blanda, a tratti più forte. Ma armonica, come una sinfonia. E loro sono sia strumenti che note.
Lui, però, sentiva quel rumore alieno, quel caos, più degli altri. Un altro genere di musica, a suo modo. Ma disarmonica, graffiante, a volte fastidiosa. E a volte, a volte…
Sapevano di quel luogo, quel mondo, tramite la conoscenza condivisa che scorreva attraverso il flusso. Un altro posto, dove le cose erano separate, e dure. Si scontravano fra loro, facendosi violenza. Erano tutte connesse, ovviamente, anche lì, ma era difficile per quei corpi, anche i più emozionalmente evoluti, rendersene conto, costretti com’erano in quei confini rigidi, quella pesante e distorta forma di energia rafferma detta “materia”.
A volte, però, le connessioni si accendevano, e i flussi fra loro si aprivano. Una in particolare, in cui i corpi erano intrecciati insieme alle correnti emozionali, sprigionando un’energia di forza e violenza inconcepibili in un luogo, come quello in cui lui era immerso, privo di solidità. E quell’intensità! Bruciante, devastante, rinvigorente. Ogni suo iota ne era travolto. Lo lasciava stordito, vuoto, e neppure l’armonia attorno a lui bastava più a riempirlo. A dissetarlo. Solo un’eco, eppure la cosa più bella da lui mai sperimentata. Ne voleva ancora. Un desiderio che lo rendeva diverso dagli altri attorno a lui, dal tessuto in cui si era ritrovato irrimediabilmente intrecciato alla nascita. Ma non poteva non continuare a desiderare. Né voleva. Per cui decise di farlo sempre di più. Cambiò colori, frequenza di vibrazione, attirato sempre più da desideri simili al suo. Sentiva trasformare la sua stessa essenza, e sperimentò la paura. L’entusiasmo. Ma erano solo gradazioni di colore, sfumature di quel nucleo infuocato che lo trascinava sempre di più verso quel mondo. Verso, si rese conto, un nucleo simile, quasi gemello, pur nella sua unicità. L’energia scorreva fra loro, e il riverbero aumentò, in onde sempre più gigantesche, finché non fu in grado di fare altro che desiderare di fondersi con esso, diventarne un tutt’uno.

La sensazione sulla pelle era fredda. Pelle. Aveva la pelle. Aprì gli occhi, e si accorse di essere steso su un pavimento. Sapeva cos’era la pelle, e il pavimento. E che quella che stava fissando era una mano. La sua mano. Sapeva le cose, le informazioni arrivavano attraverso l’etere in quella specie di sfera che stava toccando, ora. Testa. La sua. Sentì le sensazioni fisiche aggredirlo da ogni parte, tramortirlo, diventare vibrazioni emotive e scatenare un vortice di pensieri, frantumandogli equilibrio e senso di sé. Fisicamente solido, fermo, eppure perso.
Poi lo sentì. Ciò che aveva vibrato con lui, era lì. E il desiderio era coperto, ora, dalla sorpresa. E la rabbia.
«Chi sei? Chi ti ha fatto entrare?»
Era seduto sul letto, in jeans e maglietta, sigaretta in mano, e lo guardava. Con quegli occhi neri, dietro a cui vedeva lampi. Sentiva tuoni. Le emozioni di lui continuavano ad investirlo, anche lì, anche in quel corpo nudo. Il suo corpo.
«Sei amico di quei cretini con cui vivo? Torna di là, e dì che lo scherzo è stato divertentissimo. Ah ah. Ma non voglio nessuno qui con me. Nessuno…»
Lo sentiva. Non poteva non sentirlo. Quel flusso fra i loro sguardi, sempre più forte.
«… che non… non… ti conosco?»
Percepì la rabbia virare in eccitazione. Gli si avvicinò, lentamente, assecondando il flusso, mentre il suo corpo rispondeva allo sguardo, e al desiderio bruciante dietro di esso, al motore di tutto. Sentì pressione e calore fra le gambe, e l’inguine inturgidirsi. Lo vide, il suo pene duro, ormai a poca distanza da quel viso sempre più in fiamme. Due fuochi che si chiamavano. Allungò la mano per sfiorargli la guancia, e le sue dita rimasero a contatto con quella pelle calda. Un calore che risalì in fretta lungo il braccio, fino alla spina dorsale, propagandosi per tutto il corpo, fino alla cappella ora scoperta, da cui scese una goccia, colando lentamente. Ma gli occhi del ragazzo erano fissi nei suoi.
«Io ti conosco.»
Si alzò in piedi, circondandogli il torace col braccio e toccandogli il fianco. Il contatto fu così intenso da farlo tremare. Lo tirò lentamente verso di sé, premendo il suo corpo nudo sui suoi vestiti, il suo calore, il suo profumo. Sentì contro la pelle sensibile del membro la cerniera dei jeans, tirata dalla pressione del gonfiore sottostante. Tutto era vivo, e forte, e parte di quel desiderio che l’aveva portato fin lì. Desiderio incarnato, scalfente, sublime. I loro desideri. Le labbra precipitarono le une verso le altre, i desideri collisero, in un’esplosione di sensi, lingue avvinghiate e saliva, e si ritrovò sul letto, col corpo di lui sopra al suo, mentre le sue mani slacciavano i pantaloni. Gli tolse quasi strappandola la maglietta, e ci fu solo pelle contro pelle, in un crescendo di sensazioni. Lui staccò quasi dolorosamente la lingua dalla sua, per farla scendere lungo il suo collo, strappandogli un gemito, e poi lungo il torace, titillando il capezzolo, e poi sempre più giù, lungo l’inguine, poi sui testicoli, risalendo infine l’asta pulsante, lentamente, arrivando alla punta, leccando tutto il liquido che stava colando ovunque, per poi avvolgere tutto il membro con le labbra e succhiare. Tutto il piacere provato fino ad allora, tutto, si annullò dentro quel mondo umido e caldo che si muoveva sulla sua pelle, spingendolo a gemere e quasi urlare. Proprio quando sentì di stare per esplodere, lui si fermò, sollevandolo assieme a sé e baciandolo ancora, mentre gli portava la mano sul suo inguine rovente. Il desiderio di avvicinarsi e sentirlo, annusarlo, leccarlo divenne incontenibile, e lo fece, scoprendo quanto fosse naturale, come il respiro, e quanto quel sapore agrodolce lo infiammasse sempre più. Questa volta fu lui a fermarsi, guardandolo ancora negli occhi, continuando a farlo mentre si distendeva, trascinandoselo addosso. Lo sentì su di sé, contro di sé, premere sempre di più, fino a che non fu dentro di lui. Un dolore lancinante sembrò squarciarlo, ma durò solo un istante, spazzato via dal piacere che vibrava nel corpo dell’altro, e che presto fu suo. I loro corpi avvinghiati, l’uno dentro l’altro, si mossero, danzando, sudando, mentre la mano di lui si muoveva sul suo uccello sempre più caldo, in un crescendo di eccitazione, una bolla di calore e luce in espansione nei loro inguini, finché non esplosero assieme, annientando ogni coscienza, pensiero, sensazione, in un attimo di pura estasi.

Il dolore alla testa fu come uno squarcio che infranse la perfezione del bacio. Quello e il disprezzo furente che lo investì. Forse fu quello a farlo barcollare, più del colpo, costringendolo a sedersi sul bordo del marciapiede. La macchina da cui era stata tirata la bottiglia partì di corsa, lasciandosi dietro l’eco delle parole. “Froci”. “Crepate”. Non era quello l’eco che lo sconvolgeva.
«Stai bene?»
Lui era tornato, dopo aver brevemente inseguito l’auto. La preoccupazione che strappava spazio alla rabbia, e lo ricopriva. Sentì qualcosa di caldo e vischioso colargli accanto all’occhio, cadendo sulla maglietta che lui gli aveva prestato, quando si erano decisi ad uscire per mangiare qualcosa. Voleva provare il cibo. Non quello. Non quell’odio riversarsi sulla bellezza delle sue emozioni, sporcandole. Come il sangue sulla maglietta.
«… perché?»
E vide negli occhi di lui, dietro ad essi. La sofferenza, la paura, la lotta. Per sopravvivere a quell’odio, quel disprezzo, istante dopo istante. Si sentì spezzare, mentre i suoi occhi sperimentavano le lacrime.
«Io non… non so se voglio… restare…»
Si guardò la mano, e gli sembrò perdesse consistenza. L’energia lottava per fuggire, disperdersi. Doveva solo lasciarla andare. Niente più violenza. Poi sentì il tocco di lui, caldo, sul viso, come a ripulirlo dal sangue. Tornò a guardare in quegli occhi scuri. C’era qualcosa di ancora più profondo, lì. E il centro martellante nel suo petto rispose. Smise di tremare, mentre lui gli si inginocchiava di fronte, emanando un calore che lo avvolse. Venne trascinato verso quel calore, immerso nella solidità del suo corpo, del suo odore.
«… resterò.»
Lo avvolse con le braccia, affondando il viso nella sua maglietta, e se stesso in lui.
«Ancora per un po’.»


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