Dove nessuno è mai venuto prima, di Silvano Mosca
Erano i primi di giugno, la stagione
era più avanti del solito e, per sfuggire alla calura avevo pensato
di fare un giro in collina portandomi la mia bridge, la meta
prescelta per quel giro erano le colline Veronesi, per essere più
precisi la zona era circoscritta intorno al paese di Alcenago.
Dopo un paio d’ore di passeggiate tra
scarni boschi e ciliegi meravigliosi, mi accingevo a tornare verso la
mia auto attraversando un piccolo vajo alla cui sommità sapevo
essere una piccola cascata, io la chiamavo la cascata fantasma,
poiché era in realtà parte dello scolo del monte, nei giorni
precedenti aveva piovuto, perciò speravo di trovarla e di riuscire a
fare un paio di belle foto. La mia bridge è una Canon sx 30 is, un
piccolo mostro che stà in una mano, ingrandimenti analogici a 30x
senza perdere un pixel, ideale per la caccia fotografica e per foto
estreme. Avvicinandomi con fare circospetto, per non spaventare gli
animali che potevano essere all’abbeverata, mi sono reso conto del
silenzio innaturale che regnava, non c’erano uccellini che
cantavano, le ghiandaie che solitamente popolavano il posto erano
assenti, nessun rumore a parte lo scroscio dell’acqua. Pensando
alla presenza di qualche predatore mi sono fatto ancora più
guardingo, forse si trattava di uno Sparviero, uno dei falchi più
belli che esistono, quasi non respiravo mentre scrutavo le cime degli
alberi attraverso il mirino, quando all’improvviso, sussultando; ho
capito la ragione dell’assenza di selvaggina, proprio sotto il
getto della cascata, nell’alveo del piccolo torrente, come delle
fate che compiono un rito magico, due bellissime ragazze stavano
facendo all’amore.
Non sapevo cosa fare, ero dilaniato tra
l’andarmene in silenzio o restare a guardare quello spettacolo
eccezionale, non mi era mai capitato di assistere a quello che
credevo uno spettacolo lesbo e quello, era la madre di tutto
l’erotismo. Non erano donne nel senso reale della parola, il fisico
era come il nostro, ma gli occhi…gli occhi erano smeraldi dove ci
si poteva perdere; sfaccettati e larghi come quelli delle api ma, con
una dolcezza infinita. I movimenti fluidi erano portati con grazia e
semplicità, la pelle, leggermente più argentea della pelle umana,
era liscia e translucida, i capelli erano assenti come il resto dei
peli, ma questo rendeva il tutto ancora più eccitante, mi sembrava
di essere sul palco dei Rokets, un complesso famoso negli anni 80. La
paura era tanta ma non serve che vi dica che la seconda opzione ha
vinto sulla prima. Puntata la bridge ho cominciato a scattare foto su
foto, lo zoom mi permetteva di annullare la distanza, gli scatti mi
permettevano di ritagliare la scena a riquadri di trenta centimetri
di pelle, l’eccitazione del momento era così alta da non rendermi
conto che, scattando e scattando, mi ero alzato in piedi e mi ero
avvicinato a loro, l’amplesso continuava ed io ero allo scoperto, a
circa due metri di distanza, guardavo e scattavo, scattavo e
guardavo, in un turbinio di emozioni che non avevo mai provato.
Vedevo le loro bocche scorrere sulla nuda pelle, le lingue sfiorare i
capezzoli, le dita aprire varchi in sentieri certamente inesplorati,
e, tra tutto questo ho scorto il dolce sorriso che mi facevano.
Le dee si erano accorte della mia
presenza, ma, al posto di essere spaventate, sembrava che questa le
eccitasse ancora di più, i mugolii aumentavano e si facevano grida,
i sospiri diventarono ansimi, si concedevano all’obbiettivo ed alla
mia vista in maniera completa, mi rendevano partecipe senza paura, ed
io stupito ero li, con la bridge in una mano e la scheda di memoria
vuota nell’altra, non volevo che altri venissero a conoscenza della
mia fortuna, perciò in un attimo avevo cancellato le foto
formattando la scheda. Una volta avevo sentito dire che il paradiso
non si può ne comperare ne rubare, però se le cose andavano bene,
lo potevo prendere in prestito per un paio d’ore.
L’acqua che rimbalzava sul mio corpo
nudo mi ha riportato alla realtà, avevo buttato la macchina
fotografica in un cespuglio ed i vestiti intorno ad esso, con
l’erezione più possente che io abbia mai avuto mi sono unito alla
loro danza, si sono aperte e mi hanno accolto con la gioia e la
felicità dipinta sui volti, nessuna parola è stata detta, solo
grida e sospiri a suggellare un momento indimenticabile. La mia bocca
assaporava umori sconosciuti, la lingua impazziva tra monti calvi e
caverne inesplorate, tutto era fatto per dare e per ricevere piacere,
il limo che ci accoglieva come alcova era morbido e compatto, l’acqua
ci lavava e ci faceva venire la pelle d’oca mantenendo
l’eccitazione, permettendomi di osare l’inosabile. Mai mi sono
sentito uomo come quel giorno, quando durante un rito pagano, la mia
anima si è unita a due fate del bosco od a due anime di un altro
mondo, sono stato scelto per fecondare il creato o per unire due
popoli in una nuova razza; mi è stato regalato un privilegio: venire
dove nessuno è mai venuto prima.
Punteggio complessivo: 28,5